Premessa
L'aereo aveva appena preso quota e l'assistente di volo dato i primi annunci quando il signore, nervoso, seduto accanto a me, si accese la prima sigaretta. Convinto che il tempo giocava a mio sfavore intervenni subito con tono forzatamente pacato: "Mi scusi, signore, ma lei qui non può fumare". Avevo ottenuto un posto non fumatori per cui ero assolutamente certo dell'abuso del tipo accanto e la parola "signore" dovette riuscire piuttosto sforzata. Il tizio, infastidito, si voltò verso di me polemico: "E chi l'ha detto che qui non si può fumare?". Con tono ancora più calmo, dopo aver pregustato la risposta, replicai: "A parte il fatto che lo ha appena detto l'assistente di volo, ... vede? (dissi indicando la figurina con la sigaretta accesa e sbarrata sulla mia carta d'imbarco) qui non si può fumare". E, certo di aver centrato il colpo, aggiunsi: "Mi dispiace". Il signore, visibilmente urtato, si alzò e si diresse verso il fondo dell'aereo.
Incredulo del così facile successo mi misi più comodo sulla poltrona e presi la rivista patinata in omaggio che si trovava nella tasca del sedile di fronte. Avevo appena cominciato a sfogliarla immergendomi in quell'atmosfera un po' soft che si cerca di creare in questi voli, con quella musica rilassante di sottofondo sul genere Papetti-sax, quando, al posto del fumatore si sedette un anziano signore, con una vistosa benda sul collo. "Meno male" mi disse con sorriso coinvolgente "che sono potuto venire più avanti; sa: mi sono appena operato alla laringe e con tutto quel fumo là dietro credevo di soffocare ...". In effetti la voce giungeva appena, distorta come quella di Sandro Ciotti: si capiva che per lui il fastidio del fumo doveva essere superiore al mio. Tuttavia desideravo distendermi e riprendere la lettura della rivista piuttosto che essere coinvolto in una conversazione, per cui gli sorrisi anch'io e riabbassai la testa sulla rivista rinunciando a dirgli di essere io il suo salvatore e così anche alla sua gratitudine. In quel momento il comandante dell'aereo prese la parola per farci sapere che, sebbene il decollo da Linate fosse avvenuto con un quarto d'ora di ritardo, egli prevedeva di atterrare a Napoli in perfetto orario. Il mio amico stomizzato a questo punto lasciò partire un segno di appunto che somigliava a un breve lamento. "Può essere un bene e può essere un male" mi disse, soddisfatto per aver finalmente trovato un buon argomento di conversazione. E, senza aspettare la mia richiesta di chiarimento, aggiunse: "Conosce la storia?".
"Quale storia?" gli chiesi, un po' scocciato.
"C'era una volta un ragazzo - iniziò - che doveva fare gli esami di maturità. Si preparò senza convinzione, ma poi li superò e suo padre decise di fargli un regalo. "Voglio una moto" disse il ragazzo. "Può essere un bene e può essere un male" disse il padre, ma gli comprò ugualmente la moto. Il ragazzo cominciò a utilizzarla ma presto fece un incidente. "Può essere un bene e può essere un male" commentò il padre, ma il ragazzo non capì.
L'incidente infatti permise al ragazzo di non fare il servizio militare ...". ... e così continua la filastrocca... Le parole del vecchio mi colpirono a fondo ed ancora oggi mi ritornano alla mente soprattutto quando penso ai fatti che sto per raccontare. L'aereo, naturalmente, continuò il suo volo e arrivò ... in orario.
I - La bomba
Il salone del piano terra della SME era stracolmo di gente. Oltre ai dipendenti della società, vi erano convenuti lavoratori e sindacalisti esterni all'azienda e l'aria si era fatta pesante, non solo per le oltre trecento persone che vi si erano riunite ma anche perché i motivi dell'incontro erano gravi.
Quel 22 gennaio del '93 era un venerdì. Il salone veniva normalmente utilizzato per le cerimonie ufficiali, come ad esempio quella, tradizionale e recente, di auguri natalizi. Dava sul cortile interno del moderno palazzo del Centro Direzionale dove, loro malgrado, si erano dovuti trasferire i dipendenti della Società nel maggio 1990, abbandonando le comodità della sede storica di via Bracco. Ancora per molto tempo fra di essi l'argomento rimase decisamente tabù.
Al microfono si erano succeduti diversi capi sindacali e fra questi l'intervento di uno in particolare era stato accolto da grande attenzione. Il tipo era piccolo e spelacchiato, i suoi occhialini tondi e lo sguardo astuto gli davano l'aria da intellettuale ed anche dalla voce sgradevole ma pacata si capiva che aveva autorità. Si parlava della decisione della Capogruppo IRI di scindere la SME in blocchi e di venderla al privato. La SME rappresentava l'ultimo grande Gruppo presente al Mezzogiorno e la decisione dell'IRI aveva avuto tutta l'aria di un ritiro dello Stato dal Sud, dove nel bene e nel male questo aveva avuto un ruolo di sostegno notevole. Lo spettro della scomparsa di migliaia di posti di lavoro si profilava con sempre maggior chiarezza e un misto di movimenti interiori ed esteriori si sviluppava in ciascuno di noi con disarmonia. Anche i movimenti collettivi erano convulsi e a tratti si aveva come l'impressione che stesse per scoppiare una rissa.
L'apice si era raggiunto quando, poco prima del piccoletto, aveva preso la parola un sindacalista alto, grosso e baffuto che incitava alla mobilitazione ma aveva dovuto desistere quando si era accorto che il primo ad essere travolto sarebbe stato proprio lui. Il piccoletto, invece, che poi identificai meglio come il Segretario della Camera del Lavoro di Napoli, invitò alla ponderazione ed alla necessità di un'azione concordata con il sindacato nazionale.
Il rispettoso silenzio con cui furono accolte le sue parole non indicava però l'intenzione di seguire il suo consiglio. L'atmosfera era pesante anche per le numerose sigarette accese e il fumo che, come una nuvola, occupava ormai la parte superiore della sala. Forse per questo molti preferivano stare accovacciati o distesi per terra. Inoltre la passività della maggior parte dell'uditorio ed il lento vagare per il fondo della sala fra tanti volti conosciuti ed altri meno, appartenenti questi ai colleghi della Cirio, mi aveva fatto ricordare i tempi dell'occupazione studentesca, quando al mio completo disinteresse per le questioni politiche, si accompagnava una certa curiosità di conoscere persone nuove, approfittando della ridotta attività scolastica. Il giorno dopo ero a letto con la febbre alta. Evidentemente oltre al fumo, nell'aria del salone doveva esserci un morbo in agguato e di quelli potenti perché la febbre non mi avrebbe abbandonato per tutta la settimana dopo. Il progetto di cui si discuteva la sera di quel venerdì si realizzò poi il lunedì successivo.